«Qui lavorare è impossibile: un passo avanti e tre indietro, questa è l’andatura della lotta alla mafia». A definire in modo così netto e chiaro l’attività della magistratura palermitana era Giovanni Falcone, in un incontro con il giornalista de La Stampa, Francesco La Licata. E aggiungeva, poco prima della sua partenza per Roma: «E’ penoso quello che ho dovuto ascoltare nei corridoi di questo palazzo, constatare che tutti sono contenti per il fatto che me ne sto andando».

Le battaglie che hanno dovuto sostenere e portare avanti Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sono state due: una interna alla magistratura, per non affondare e restare invischiati nelle gelosie e nelle invidie altrui, un’altra contro la mafia e i mafiosi. Ma forse, a giudicare da quanto accadeva nei palazzi del potere ai danni dei magistrati del pool, l’ultima – quella contro la mafia – era la battaglia più facile, o forse quella che gli riusciva meglio. Resistenze da parte di chi deve assicurare la legalità, infatti, non te le aspetti. I cosidetti “corvi” sembrano un racconto mitico, inverosimile, indegno di un Paese civile. E invece il “corvo” scriveva a tutti, magsitrati e politici, lettere anonime e messaggi per screditare l’operato di Giovanni Falcone, definendolo un opportunista e un venduto. Ma gli attacchi venivano da diversi ambiti della società italiana, da quelli che provavano invidia e quelli che invece erano toccati dalle inchieste del pool antimafia. Calunnie vigliacche, nel perfetto modus operandi dei mafiosi, che ammazzano a distanza o attaccano a sorpresa perché forse un conflitto a fuoco nemmeno saprebbero sostenerlo.

 

Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sono stati magistrati che avevano la legalità come vocazione, come impronta di vita. Mi piacerebbe sapere, se fossero ancora vivi, cosa penserebbero dell’Italia di oggi.

Chiudo questo post con un ricordo personale, banale forse, ma ci tengo a scriverlo. Era pomeriggio, avevo appena 11 anni, stavo giocando sul balcone di casa mia quando sentii mio padre chiamare a gran voce mia madre, dicendole di correre alla televisione: «Hanno Ammazzato Falcone!». Ad oggi, infine, di quella strage si conoscono solo gli esecutori ma non i mandanti. E mi viene in mente una frase della sorella di Falcone, Maria, che raccontava come il fratello avesse reagito al fallito attentato all’Addaura: «E’ stato uno dei periodi più tristi della sua vita, il momento peggiore. Quella volta capì che non si trattava più delle solite maldicenze. Ebbe chiaro che la decisione di farlo fuori era stata presa e ad altissimo livello. Lo vidi come non l’avevo mai visto: era teso come una corda, aveva i nervi a pezzi. Eppure non poteva rivolgersi a nessuno, non si fidava ed era costretto a riflettere da solo» «Capii anche – continua la sorella – perché non aveva voluto figli. Lo aveva detto a noi e anche a Francesca: “Non voglio mettere al mondo degli orfani”». E sui possibili mandanti di quel fallito attentato «solo una volta fece un vago riferimento ai ‘Servizi‘, ma come a un’ipotesi che non era nata nella sua mente, come se la cosa gli fosse stata suggerita o raccontata. E in ogni caso assolutamente priva di conferme».

Fonte: EF’s Blog